Ultima modifica: 16 Marzo 2016

Educazione alla legalità

Lo scorso febbraio, presso le scuole medie del nostro comune, è stato realizzato un progetto di educazione alla legalità, in collaborazione con l’associazione antimafia Libera.

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Lo scorso febbraio, presso le scuole medie del nostro comune, è stato realizzato un progetto di educazione alla legalità, in collaborazione con  l’associazione antimafia Libera.

Il progetto, che ha coinvolto le due classi terze, ha avuto come tema il bullismo, e in particolare le nuove forme che questo fenomeno ha assunto negli ultimi anni a partire dalla diffusione delle nuove tecnologie ( sms, internet, facebook, etc ), e che è denominato “cyberbullismo”. Con questa espressione ci si riferisce ad azioni quali: insulti fatti in modo anonimo, furto e diffusione non autorizzata in rete di immagini private, furto di identità (spacciarsi per qualcun altro modificando abusivamente i profili di facebook), immissione in rete di messaggi umilianti o di false informazioni sul conto altrui, “scherzi” fatti più o meno in buona fede che degenerano….

E’ purtroppo in crescita il numero di adolescenti che usa internet o il telefono cellulare per insultare, intimidire o screditare la propria vittima, nascondendosi dietro l’anonimato che la rete consente.

L’intimidazione e gli insulti online si stanno diffondendo in maniera esponenziale fra gli adolescenti, e provocano  isolamento, calo dell’autostima e del rendimento scolastico, fino a determinare in certi casi la scelta di cambiare la scuola e anche il suicidio.

Secondo recenti statistiche, il 31% dei tredicenni (35%  le ragazze) dichiara di aver subito atti di bullismo online e il 56% di avere amici che lo hanno subito. Purtroppo la maggioranza di costoro non ne parla con gli adulti e l’85% dei casi di cyberbullismo non arriva a conoscenza di genitori e insegnanti. Diverse sono le motivazioni che possono indurre il bullo a comportarsi come tale: il prestigio dentro il gruppo e  l’idea che l’aggressività renda importanti, dia controllo e potere, l’autoconvinzione che si tratti solo di un gioco, negando di star facendo del male o, al contrario, il senso di potenza  derivante dal sapere che si sta facendo soffrire qualcuno; oppure può trattarsi di un senso di inferiorità che si cerca di compensare con la violenza, o  l’idea che l‘aggressività sia l’unico modo per risolvere un conflitto, la presenza di un contesto famigliare difficile.

Durante gli incontri viene chiarito ai ragazzi che non vi è differenza, in linea di principio, tra i gesti di prepotenza che accadono fra ragazzi e quelli che vengono esercitati dai personaggi delle mafie: in entrambi i casi si è in presenza di prevaricazione e di sopraffazione del più forte sul più debole.

Se un concetto distorto di “famiglia” è quello che sta alla base delle relazioni mafiose, dove l’omertà è un valore, viene spiegato ai ragazzi che denunciare una prepotenza non è “fare la spia”, bensì  una legittima richiesta di aiuto a chi è preposto a intervenire e, se del caso, a reprimere.

L’incontro delle classi con un magistrato, il dott. Pietro Caccialanza del tribunale di  Milano, costituirà la parte conclusiva del percorso.




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